Ogni anno, da ormai 15 anni, un bel numero di
ragazzi pugliesi partecipa al “treno della memoria”:
un’esperienza che aiuta a comprendere il vero significato
della Shoah. Eravamo in 500 il 18 gennaio di
quest’anno, con destinazione Cracovia, divisi in gruppi
e indirizzati verso tre diverse tappe intermedie. La
mia era Berlino.
Il viaggio è progettato per far vivere a noi giovani
a 360 gradi, quell’esperienza orribile della storia,
per aiutarci a riflettere. E’ già motivo di riflessione
quell’itinerario in pullman e l’affrontare un viaggio
così lungo. Non si alloggia in hotel, ma in ostelli. Si
vive tutti insieme come in una grande comunità. Il
significato di un simile viaggio lo capisci dopo averlo
vissuto, lo capisci solo alla fine, che poi fine non è. Mi
è parso più un nuovo inizio, un inizio utile per raccontare
la mia esperienza
e riviverla.
I luoghi che abbiamo
visitato a Berlino sono
stati la Topografia del
terrore, il Campo di Sachsenhausen,
il Parlamento,
le Porte di Brandeburgo,
il Memoriale costruito
per gli ebrei e il Muro di
Berlino. A Cracovia abbiamo
visitato la città, la Fabbrica
di Schindler, il Quartiere
ebraico e il Ghetto, il
Campo Auschwitz I e Auschwitz-
Birkenau.
Forse la cosa che mi
ha colpita maggiormente
è lo studio minuzioso
elaborato dai Nazisti per
quella costruzione, ma
soprattutto la vastità del campo di concentramento
Auschwitz-Birkenau. E’ la cosa che ha impressionato
la maggior parte del mio gruppo. Il pensiero di aver
camminato sulla stessa terra dei deportati, percorrendo
quella medesima strada che li conduceva allamorte, mi ha messo i brividi! Il freddo che ci congelava le
mani, la stanchezza del viaggio in sé e l’atto faticoso di tanta
strada percorsa erano passati in secondo piano mentre ci
dirigevamo verso i forni crematori. In questo itinerario mi
hanno segnata ancora di più gli abbracci: quegli abbracci
sinceri e immediati, scambiati senza parola con i miei compagni
di viaggio.
Un nome mi è rimasto fisso: Simon Jachcel. Non tanto
il nome, quanto il volto. Non è stata la sua biografia ad impressionarmi,
non la conosco nemmeno. Probabilmente
era un uomo come un altro, magari aveva dei bambini, una
moglie o forse no. Non è stata la sua biografia a colpirmi,
ma i suoi occhi su quella foto scattatagli come documento
di identificazione. Tra un’infinità di volti io ho scelto il suo
volto, ho scelto il suo nome e per lui ho acceso una candela.
Ognuno di noi ha acceso una candela per un deportato: uno
per ricordare tutti, per ricordare che erano persone come
noi, che non erano soltanto un numero.
Ritornarvi ancora? In realtà non so come potrei reagire
ritornando lì. Ho viaggiato con persone che hanno visitato
più volte quei luoghi e ogni anno per loro è come se fosse
il primo. Penso non ci si possa abituare mai a certi luoghi.
Non potranno mai smettere di farti provare nell’animo le
stesse cose della prima volta. E’ una esperienza che ti forma
in qualche modo, che ti fa capire che la storia serve, che
serve ricordare, che non è vero che ciò che è accaduto non
può riaccadere, perché l’essere umano sa essere così feroce,
ma anche così fragile e ingenuo.
Rossella Locurcio