(10/05/2019)
I MIEI PASSI SU QUELLA TERRA
"E’ una esperienza che ti forma…, che ti fa capire che la storia serve, che serve ricordare, che non è vero che ciò che è accaduto non può riaccadere, perché l’essere umano sa essere così feroce, ma anche così fragile e ingenuo"

di Rossella Locurcio


Ogni anno, da ormai 15 anni, un bel numero di

ragazzi pugliesi partecipa al “treno della memoria”:

un’esperienza che aiuta a comprendere il vero significato

della Shoah. Eravamo in 500 il 18 gennaio di

quest’anno, con destinazione Cracovia, divisi in gruppi

e indirizzati verso tre diverse tappe intermedie. La

mia era Berlino.

Il viaggio è progettato per far vivere a noi giovani

a 360 gradi, quell’esperienza orribile della storia,

per aiutarci a riflettere. E’ già motivo di riflessione

quell’itinerario in pullman e l’affrontare un viaggio

così lungo. Non si alloggia in hotel, ma in ostelli. Si

vive tutti insieme come in una grande comunità. Il

significato di un simile viaggio lo capisci dopo averlo

vissuto, lo capisci solo alla fine, che poi fine non è. Mi

è parso più un nuovo inizio, un inizio utile per raccontare

la mia esperienza

e riviverla.

I luoghi che abbiamo

visitato a Berlino sono

stati la Topografia del

terrore, il Campo di Sachsenhausen,

il Parlamento,

le Porte di Brandeburgo,

il Memoriale costruito

per gli ebrei e il Muro di

Berlino. A Cracovia abbiamo

visitato la città, la Fabbrica

di Schindler, il Quartiere

ebraico e il Ghetto, il

Campo Auschwitz I e Auschwitz-

Birkenau.

Forse la cosa che mi

ha colpita maggiormente

è lo studio minuzioso

elaborato dai Nazisti per

quella costruzione, ma

soprattutto la vastità del campo di concentramento

Auschwitz-Birkenau. E’ la cosa che ha impressionato

la maggior parte del mio gruppo. Il pensiero di aver

camminato sulla stessa terra dei deportati, percorrendo

quella medesima strada che li conduceva allamorte, mi ha messo i brividi! Il freddo che ci congelava le

mani, la stanchezza del viaggio in sé e l’atto faticoso di tanta

strada percorsa erano passati in secondo piano mentre ci

dirigevamo verso i forni crematori. In questo itinerario mi

hanno segnata ancora di più gli abbracci: quegli abbracci

sinceri e immediati, scambiati senza parola con i miei compagni

di viaggio.

Un nome mi è rimasto fisso: Simon Jachcel. Non tanto

il nome, quanto il volto. Non è stata la sua biografia ad impressionarmi,

non la conosco nemmeno. Probabilmente

era un uomo come un altro, magari aveva dei bambini, una

moglie o forse no. Non è stata la sua biografia a colpirmi,

ma i suoi occhi su quella foto scattatagli come documento

di identificazione. Tra un’infinità di volti io ho scelto il suo

volto, ho scelto il suo nome e per lui ho acceso una candela.

Ognuno di noi ha acceso una candela per un deportato: uno

per ricordare tutti, per ricordare che erano persone come

noi, che non erano soltanto un numero.

Ritornarvi ancora? In realtà non so come potrei reagire

ritornando lì. Ho viaggiato con persone che hanno visitato

più volte quei luoghi e ogni anno per loro è come se fosse

il primo. Penso non ci si possa abituare mai a certi luoghi.

Non potranno mai smettere di farti provare nell’animo le

stesse cose della prima volta. E’ una esperienza che ti forma

in qualche modo, che ti fa capire che la storia serve, che

serve ricordare, che non è vero che ciò che è accaduto non

può riaccadere, perché l’essere umano sa essere così feroce,

ma anche così fragile e ingenuo.

Rossella Locurcio