Sant’Agata d’altri tempi con i suoi contadini che ritornano dai campi:
“Rughe, tante rughe
sulla tua fronte annosa,
mille solchi scavati dalle lacrime e dal lavoro nel tempo,
sfumati dal sole di Puglia,
rughe, socchiuse fra la pelle
come labbra in preghiera
che implorano pietà.
Povere mani scheletrite
come rami d’albero secco,
nell’incerto passo
aggrappate al bastone,
a reggere il gibbo che t’inchina,
ultimo segno riverente
alla tua povera terra
che sempre più in basso ti tira.
E quando al tramonto
sull’uscio del tuo tugurio
posi sulla seggiola,
ti senti sempre più vuoto,
come quel barile sulla forcella
che sta donando
le sue ultime gocce d’acqua”.
“Le frogi fumanti,
la bava di bocca
per il carico di legna,
il din-din della campana
al collo appesa
col zig-zag della barda
lento ritmando,
continua l’ascesa.
E là sulla groppa,
le redini in mano,
assecondando col capo
gli zoccoli piano,
nel chiuso scialle
un volto sonnecchia.
Alla coda agganciato
Il povero vecchio,
un “ahh!” ogni tanto
ripete immutato.
Così fino a casa,
sempre più piano,
qualche passo un’attesa:
tre vite in uno”.