Anche i più appassionati cultori della storia del nostro comune ad un certo punto si scoraggiano. Le varie notizie bisogna ricercarle nei vari archivi sparsi nella penisola; i documenti, ingialliti dal tempo e spesso illeggibili, presentano difficoltà di interpretazione, ma sollecitano alla ricerca più paziente e appagano adeguatamente chi con tenacia cerca di ricostruire fedelmente la storia di un paese che, in quei movimentati anni che seguirono il Mille, rivestì un’ importanza strategica decisamente degna di menzione. Erano gli anni del “bellum omnium contra omnes”, di grandi contrasti e ribellioni, di tumulti disorganizzati, spesso inconsistenti e subito repressi da violenti colpi di mano, massacri, spoliazioni. La nostra Rocca, alta e munita in un luogo tanto contrastato e non di rado teatro di grandi avvenimenti storici, fu sempre molto ambita e visse attivamente la varietà e la vivacità di quegli anni. Il periodo, che molto brevemente presenterò, può convalidare quanto detto.
Nel 1189 morì Guglielmo il Buono, che aveva concesso alle città, ai comuni, ai casali di espandersi, di migliorare le proprie condizioni, di avere finalmente tranquillità dopo lunghi anni di rivolte e contrasti. In questo clima di distensione e di pace, Foggia, la città posta nel cuore del Tavoliere, iniziò ad espandersi; S. Agata si ampliò ed i casali intorno, popolati e protetti, vissero la loro “ età aurea”. Alla morte di Guglielmo il Buono, i pretendenti al trono furono Tancredi di Lecce ed Enrico IV, figlio di Federico Barbarossa. I Baroni si divisero in due partiti: uno, capeggiato da Matteo d’ Aiello, cancelliere del re, parteggiava per Tancredi; l’ altro, capeggiato da Gualtieri, arcivescovo di Palermo, per l’ imperatore Enrico. Tancredi era favorito dal Papa, Clemente III, che temeva l’ imperatore tedesco, da Riccardo, conte della Cerra, e da molti altri feudatari; era avversato, perché considerato illegittimo erede, da Riccardo di Celano e da Ruggiero di Andria, che, con l’ arcivescovo Gualtieri, desideravano proclamare successore di Guglielmo il Buono l’ imperatore di Germania. Una ennesima ondata di schermaglie e di guerricciole doveva disturbare la serenità delle nostre popolazioni, già esauste delle oppressive e poco pacifiche dominazioni precedenti. E ancora una volta questa burrascosa contesa avrebbe avuto come epicentro la Puglia. Tancredi, proclamato re ed investito della autorità regia dal papa Clemete III, mosse con un poderoso esercito contro Ruggiero di Andria; contemporaneamente Riccardo della Cerra contro Riccardo di Celano. Finchè non intervennero le forze imperiali, la sorte favorì Tancredi. Quando, però, giunse Arrigo Testa con le milizie tedesche, il re venne a trovarsi in gravi difficoltà. Il Conte della Cerra dovette ripiegare e trovò rifugio ad Ariano. Arrigo Testa, giunto in Puglia, devastò e conquistò molte città; incendiò Corneto, che dipendeva dall’ abate di Venosa, fautore del re, seminando stragi e terrore tra gli abitanti. Quindi, con il conte di Andria, mosse contro Ariano, dov’ era rifugiato il conte della Cerra, ponendovi l’ assedio. Ruggiero di Andria, da Ariano scappò a Sant’ Agata, la conquistò e la fortificò, affidandola subito al figlio Roberto di Calagio, per ritirarsi nella vicina Ascoli, donde difendersi dagli attacchi di Riccardo della Cerra. Ma la morte che toccò al conte di Andria fu veramente miserevole: il conte della Cerra, lasciato il suo rifugio di Ariano, lo invitò ad un colloquio fuori le mura di Ascoli e lo uccise a tradimento. Poi, con un’ azione disperata, tentò di assalire e prendere Sant’ Agata. Non vi riuscì, perché Roberto di Calagio oppose ai suoi attacchi una forte resistenza, e dovette accontentarsi solo di Ascoli, che si era arresa. Gli avvenimenti descritti accaddero il 1190. Nel 1191 Tancredi riuscì a debellare i suoi nemicie così credette di essere finalmente il vero e solo padrone del regno. Nominò, pertanto, duca di Puglia il suo primogenito Ruggiero. Enrico IV scese dalla Germania e fu incoronato imperatore a Roma dal papa Celestino III. Con lui scese la moglie, l’ imperatrice Costanza, alla quale, per diritto di successione, spettava il regno di Sicilia. Da Roma l’ imperatore passò in Campania e molte città, compresa Salerno, si arresero a lui. Sicuro di aver così semplicemente ripreso molte terre dell’ Italia meridionale, ritornò in Germania. La sua partenza portò come conseguenza una ripresa da parte del partito avversario, un rinfocolarsi di tutti i motivi fermentati a lungo contro la politica germanica. L’ imperatore credette, pertanto, opportuno mandare un suo legato, il conte Bertoldo, a rimettere ordine nelle terre ribelli. A questo punto il re Tancredi ruppe gli indugi: nel 1193 mosse contro Bertoldo che, nella disfatta, corse in cerca di rifugio a Lacedonia, dove poco dopo morì colpito mortalmente da una pietra. Quindi lo stesso re espugnò il castello di Savignano e prese per forza la Rocca di Sant’ Agata. “ Tunc castrum Sabinianum vi cepit… Vi cepit etiam Roccam Sanctae Agathae, quam quidam Robertus de Calagio dicti comitis Andriae filius contra tenebat”. Così dice il cronista Riccardo di San Germano. Sant’ Agata passò a Tancredi, ceduta, dopo non poche resistenze, da Roberto di Calagio, costretto a fuggire. Nella sua fuga disperata in cerca di rifugio e di salvezza verso Deliceto, fu ucciso dai nemici. L’ Agnelli dice che il paese teneva per Tancredi ed il castellano gli era nemico. Ma il cronista citato dice chiaramente che Roberto di Calagio, figlio del conte di Andria, teneva Sant’ Agata contro il re, il quale, naturalmente, dovette assalirla e prenderla con forza. Occupata Sant’ Agata, Tancredi mosse con risultati favorevoli contro le milizie imperiali. Alla fine del 1193 aveva ripreso quasi tutte le sue terre, certo di aver messo finalmente a tacere il partito filo germanico e di poter godere i frutti delle sue vittorie. Ma nel gennaio dell’ anno seguente gli premorì il figlio Ruggiero, duca di Puglia, e nel febbraio morì anch’ egli. Gli successe l’ altro figlio, ancora minorenne, Guglielmo III. Contro costui non tardarono a scatenarsi l’ ira e la crudeltà di Enrico IV, che riuscì ben presto a sbarazzarsi del legittimo erede al trono ed a farsi solennemente proclamare re di Sicilia il giorno di Natale dello stesso anno. Egli spostò in Italia la sua politica, sperando di poter riorganizzare un unico impero romano-germanico. Dopo l’ incoronazione si trattenne un poco nell’ Italia meridionale per riordinare il regno e tenere a bada il fuoco della rivolta. Ritornò in Germania sicuro della tranquillità lasciata: ma il divampare delle ribellioni ed i malcontenti delle popolazioni lo costrinsero a ritornare precipitosamente in Italia. Si preparava a sferrare un decisivo attacco contro le turbolenti genti del suo regno, quando morì. Era l’ anno 1197. Gli successe la moglie Costanza, che morì un anno dopo. Il figlio Federico, erede al trono, fu affidato alla tutela del papa Innocenzo III, perché ancora minorenne. Era questo l’ epilogo fatale di lunghe lotte asperrime, di intrighi e pericoli d’ ogni sorta, di defezioni e rivolte violente, di tutta una politica spinta da ambizioni tenaci. Marcovaldo, un cavaliere teutonico, che già l’ imperatrice Costanza aveva allontanato dal regno, perché ritenuto infido e pericoloso, accusò Federico illegittimo erede al trono di Sicilia e volle intraprendere una lotta contro di lui. Diopoldo, conte della Cerra, si dichiarò disposto ad aiutarlo nell’ impresa e immediatamente passò all’ azione: occupò Avellino, espugnò Vallata e la saccheggiò; ridusse all’ obbedienza molte popolazioni e corse in Sicilia per venire a patti con Gualtieri Paleario, che aveva il compito di custodire il re e il palazzo reale. Appena il Papa venne a conoscenza della nuova situazione, spedì contro i nemici di Federico Gualtieri, conte di Brienne. Questi sconfisse Diopoldo e Gualtieri Paeleario presso Canne, in Puglia, il 6 ottobre 1202. Nella disfatta Diopoldo corse a trovar rifugio nella roca di Sant’ Agata, ove fu preso prigioniero dal castellano e liberato l’ anno dopo, solo quando ebbe concesso molte ricompense. Gualtieri Paelario fuggì a Salpi e contro Marcovaldo fu mandato dal Papa il cugico Iacopo che, uscito vincitore, fu nominato conte di Andria. Era così portata a termine un’ azione diplomaticamente e militarmente fallita già in partenza. Federico fu così riconosciuto il vero e legittimo erede del regno di Sicilia. Tutte le terre sembravano finalmente restituite alla calma e le popolazioni, passate attraverso inaudite sofferenze, si riprendevano lentamente e faticosamente e si avviavano a vivere un periodo di feconda serenità. La nostra Sant’ Agata, rimasta nell’ imperversare delle ultime vicende fedele al re, era ormai un comunello che viveva all’ ombra ed alla protezione della sua austera Rocca, assordato e stanco di tanta movimentata storia……
DORA DONOFRIO DEL VECCHIO