Egidio Mele, dopo aver percorso la carriera dirigenziale del Servizio Sanitario Nazionale sino a ricoprire l'incarico di direttore generale della ASL di Foggia, è approdato alla poesia nella maturità. Alla sua prima raccolta poetica, intitolata CHIAROSCURI ( Edizioni del Rosone - Foggia, 1998 ), è seguita la silloge MONOLOGHI DELL’ATTESA (Rolando Editore - Napoli, 2009), entrambe precedute dall'accurata e circostanziata Presentazione del prof Giuseppe De Matteis, ordinario di Letteratura Italiana presso l'Università degli Studi di Pescara. Si sono interessati alla sua poesia anche l'Italianista Aldo Gabrielli e il professore universitario Mario Marti, le riviste di cultura e arte "Il Meglio", "Il Rosone", "La Puglia" di Foggia e "Alla Bottega" di Milano nonché i giornali "Il Provinciale",il "Roma" e "La Gazzetta del Mezzogiorno".
Riportiamo le seguenti sue poesie, pregne d'amore per il nostro Paese.
Sant’Agata di Puglia
Caro paese, ove ho vissuto bimbo
all’ombra del castello sotto il cielo stellato,
con palpitanti lucciole nel cavo delle mani,
e nei meriggi contro il sole in corsa
per mezza costa e vicoli sonori.
D’inverno poi, nell’aria stupefatta
delle nevicate, quante guerriglie
fra allegri ruzzoloni e scivolate
su spianate di neve per far piste!
*
Rivedo il campo di San Carlo
che a san Pasquale ospitava la fiera
gremita di animali e merce varia,
ove in gioiosi scambi o in crude trattative
una stretta di mano era contratto.
Dopo la mietitura i mannelli di grano
venivano impilati sull’intero suo spazio,
dal Cimitero attiguo al diruto Convento,
e gli umidi covoni, in breve tempo,
nell’afa m’inchiodavano nell’ombra
del gelso rosso prossimo che offriva
con la frescura more.
*
Ave Maria! Per il sentiero antico,
dopo la sosta alla Fontana Vecchia,
rientravano in paese i contadini
a piedi o in groppa ad asini gravati
da sospese fascine e cesti colmi
di frutta e di verdura.
*
Dopo il tramonto a coppia le ragazze
facevano la spola dalla Piazza al Perillo,
a passo lento, in provocante attesa,
o con alteri scatti se l’approccio
era tentato in modo non gradito.
*
Al calar della notte, in Luna nuova,
nell’insolita oscurità il castello
si stagliava nel cielo numinoso.
Con toni gravi i vecchi raccontavano
di dame e cavalieri a spasso nel cortile
o in controluce apparsi alle finestre.
E tuttora mi turba ricordare
le trepide ore insonni, ad occhi chiusi,
quando mutava il vento tra le imposte
in ansito del Cavaliere acefalo
che scendeva in paese per rapire
i bambini monelli, ancora svegli.
Sentori di Agosto
Sant’Agata di Puglia
*
Del torrente resta misero un rivo
che stenta serpeggiando per il greto
lambendo sassi levigati e muschi
esausti tra gli sterpi delle sponde
e dove il corso si riposa in pozze
anima allegre frotte di girini.
Un arido canneto a tratti ondeggia
con le sue chiome superbe dimesse
ad aliti di vento che diffondono
vaghi sospiri e languidi lamenti.
E mi par di vedere fra le canne
Pan sublimare nel flauto il dolore
per la ninfa Siringa, a lui sottratta
nell’atto di ghermirla sul Ladone.
Quale superba dolcezza in un mostro
aduso per capriccio alla violenza!
Da uno stupro fallito un tal tormento
o dai dardi di Eros egual rimorso?
E certo accadde che la dea Nemesi
volle che Pan sentisse dell’amore
l’essenza dolceamara e la follia.
*
Subentrano in controra i tocchi acuti
del campanaccio d’un tardivo gregge
che dai rugosi dossi d’Appennino
s’affretta a dissetarsi nel torrente,
ove la “jumèra” si trasforma in “chietra”.
Ricordo i tuffi arditi in quello slargo
dalla sponda rocciosa, ora corrosa,
e le grida d’allarme dei compagni
perché ci allontanassimo dall’acqua.
E poi durante il ritorno in Paese
le incaute scorrerie nei frutteti,
le lunghe soste ai gravidi roveti
e alla Fontana Vecchia per cercare
di togliere le macchie di quei frutti
dalle camicie a rischio di strapparle
in un tempo in cui spesso si scriveva
con un inchiostro al succo d’amarena.
*
È ora di rientrare. Sfumano ombre
in toni meno accesi, più adeguati
ad una vita offerta in chiaroscuro.
Nell’aia della prossima campagna
l’asino con il carico è già pronto.
Attendono i rintocchi di campana
della chiesa matrice con l’invito
di rivolgere a Maria una preghiera.
Madre daunia
Ti rivedo in penombra
sul vetrice consunto
accanto al misero
camino di cinigia
ove sempre più spesso
anticipi la notte.
Le mani in grembo aperte
finanche nel torpore
sono come maggese
che senza posa è pronto
ad ogni far dell’alba
e fonte di preghiere
per grani di rosario
che sulle labbra fremono
ch’io le ripeta in pace.