All'amico, appena tornato da una vacanza in Inghilterra, domando:
“Che tempo hai trovato?”
“Ha piovuto sempre” risponde. “La mattina usciva un sole debole, poi però subito il pomeriggio pioveva.”
“E la temperatura?”
“Venti gradi. Massimo venticinque. Gli inglesi che ho incontrato passano le vacanze passeggiando su prati verdissimi e in mezzo a boschi freschissimi.”
“E a mezzogiorno che mangiano?”
“Un sandwich e un the verde senza teina.”
“Il the, pure senza teina? E la sera?”
“La sera si andava in biblioteca a leggere un libro. Si divertono ad avere tra le mani qualche libro antichissimo.”
Ecco perchè si dice “la flemma inglese”. Per forza. Quelle sono veramente vacanze. Altro che le nostre di europei meridionali. Ricordo le vacanze degli anni Settanta quando la mattina c'era chi si era svegliato prima dell'alba - forno acceso di agosto - per preparare il timballo, mentre il sugo lo si era già fatto la sera prima. Quindi si caricavano in macchina il melone di 15 chili, “il ruotolo” col timballo, la pagnottona-ruota-di-carro (un rifornimento di viveri con cui ci si sarebbe potuti sfamare una settimana), le sedie a sdraio e l'ombrellone sul portabagagli sul tetto dell'auto e via verso il mare. Si arrivava a Siponto, alla spiaggia libera, belli sudati e già stanchi perchè il contenitore-frigo pesava un quintale. Prima cosa si piantava l'ombrellone nella sabbia e, siccome era tardi, di corsa a spogliarsi e mettersi al sole a bruciarsi, perchè occorreva abbronzarsi, altrimenti come si dimostrava che si era stati al mare?
Ma poi ecco che improvvisamente arrivava l'ora di pranzo e allora ci si trasferiva vicino ai casotti dove si apriva la famosa tavolata. Dopo avere affettato la pagnottona, si mangiava il timballo, pieno zuppo di sugo e besciamella, la carne, il contorno, il boccione di vino nero, la fettona enorme di melone gocciolante. Non ci si faceva mancare niente. Altro che il sandwich degli inglesi. Andando al bar, a prendere i gelati, passando per la pineta si incontravano addirittura famiglie che si cucinavano gli spaghetti nella “tiella” sul fuoco, lì tra gli alberi.
Infine a pomeriggio inoltrato si decideva di tornare in città e perciò ci si infilava in macchina, che logicamente, essendo stata sotto il sole, aveva all'interno una temperatura non inferiore ai 50 gradi e i sedili di pelle erano una bistecchiera. Ma appena partiti ecco che all'incrocio si trovava come previsto la fila di macchine ferme e, siccome senza velocità non entrava un filo d'aria, mancava poco che ci si arrostisse. Arrivati in città, quando si usciva dalla macchina sembrava che si era stati una giornata tra le fiamme dell'inferno. Si rientrava in casa con un certo odore di carne bruciata: era la propria pelle che si era ustionata al sole.
Capite perchè oggi sentire che gli inglesi fanno la vacanza passeggiando sul prato verde, con una temperatura di 20-25 gradi e la sera si divertono in biblioteca fa un certo effetto a chi è abituato a tutt'altra vacanza. Chissà perchè, ma per noi europei meridionali la vacanza se non è stressante non ha gusto.