(23/09/2021)
Sant’Agata di Puglia e la tragica estate del 1943


di Dora Donofrio Del Vecchio

Il 25 luglio 1943 cadde il fascismo e Mussolini diede le dimissioni. Il re Vittorio Emanuele III affidò il Governo al maresciallo Pietro Badoglio. Il 3 settembre venne firmato a Cassibile l’armistizio con gli anglo-americani, armistizio di cui il capo del Governo diede notizia agli Italiani l’8 settembre: era la resa incondizionata agli Alleati e il distacco dell’Italia dalla politica di Adolf Hitler. Rotta l’alleanza, i tedeschi invasero gran parte dell’Italia. Il re lasciò Roma e si trasferì a Brindisi. L’esercito italiano, senza direttive, fu abbandonato a se stesso. Molti soldati, abbandonata la divisa, con abito civile presero la via delle loro case. La guerra non era finita e lontana era la pace. Il nostro Paese era allo sbando. Iniziò il lungo e triste periodo dei bombardamenti e della guerra civile.

Già alla fine di luglio aerei degli Alleati sorvolavano Sant’Agata e lasciavano cadere volantini con cui comunicavano che il fascismo era finito. Nelle chiese si pregava per la pace, per la Patria, per i combattenti, i dispersi, i morti in guerra.

La mattina del 10 settembre la notizia dell’arrivo dei tedeschi mise in subbuglio il paese e la chiesa di S. Angelo, ove si stava celebrando la messa funebre per la signora Luigia Pagano, sorella del parroco don Donato. In chiesa rimasero solo i celebranti. I tedeschi arrivarono il pomeriggio con un camion dalla strada Monteleone-Accadia, altri arrivarono il giorno 21. La popolazione era terrorizzata. Molti corsero a rintanarsi nelle case. Alcuni credettero più sicuro rifugio il convento di S. Antonio. Mio nonno, Donofrio Pietro, nascose i suoi  otto figli nella soffitta, ove rimasero per molti giorni.

Numerosissimi soldati sbandati dopo l’8 settembre cercarono rifugio nelle masserie santagatesi e molti si nascosero nella masseria di Marino (Lucete) in località La Frattella. Non sfuggì agli Alleati questo movimento, in cui credevano coinvolti i tedeschi e bombardarono le località dalla Frattella a Ultrino. Una donna, Giovanna Paciello (l’Accrejésa), il giorno 13 settembre si stava dirigendo in campagna per portare pane a quella masseria. Si nascose bocconi sotto un albero di quercia per salvarsi dalla pioggia delle bombe. Il giorno 15 settembre quattro aerei inglesi continuarono a mitragliare Ultrino e Vallo del Melo, volando a bassissima quota in direzione Foggia, volendo colpire i tedeschi in fuga. La mattina seguente i quattro velivoli ripresero i bombardamenti e mitragliamenti prima su Ultrino e poi su Vallo del Melo, e colpirono mortalmente una coppia di muli di Coppolarossa. Per interrompere i collegamenti volevano distruggere il Ponte della Bastia e colpirono quello della Tofora.

L’indomani i tedeschi assaltarono un automezzo della ditta “Fredella Molini e Pastifici” e s’impossessarono del mezzo e della merce; forzarono la porta del deposito-garage di Ascanio Barbato e s’impossessarono di tre vetture del servizio postale; in località Vallo del Melo depredarono, razziarono, terrorizzarono. Studiarono la possibilità di sostare in quella zona, ma presto se ne allontanarono. Agivano su precisa indicazione di qualche delatore e spia che la notte li incontrava al Ponte di S. Lorenzo, dietro il convento di S. Carlo. Con un sidecar ed un altro automezzo, la mattina del 22 settembre arrivarono in piazza cinque tedeschi che si recarono in municipio e chiesero l’elenco delle vetture esistenti in paese. Avutolo, fecero razzia di automobili. Si aggiravano indisturbati per il paese, entravano nei bar, nelle cantine, pretendevano vitto e alloggio. Nessuna autorità ebbe il coraggio di reagire, ed il maresciallo dei carabinieri pagò per loro la consumazione di vino nelle cantine.

Il pomeriggio del 22 settembre, verso le 16,00, terribili boati provenienti dalle parti della stazione di Candela scossero il paese. Dai balconi si vedevano colonne di fumo e fiamme levarsi verso il cielo. I tedeschi, nella loro ritirata, incalzati dagli anglo-americani, avevano dato fuoco alle munizioni depositate presso quella stazione.

L’indomani boati e colpi di esplosioni arrivarono dalle parti di Vallata-Trevico ed aerei inglesi ed americani sorvolarono il paese e le campagne circostanti facendo cadere una pioggia di biglietti di carta con cui annunciavano la liberazione dai tedeschi.

Venerdì 24 settembre arrivarono due ufficiali tedeschi con il preciso compito di accertarsi se il paese poteva costituire un presidio militare ed un rifugio sicuro per loro. Ma l’indagine risultò negativa. Il giorno seguente i tedeschi s’impossessarono della masseria di Rocco Fredella dopo aver fatto allontanare contadini ed operai. La certezza di essere incalzati dagli anglo-americani li rendeva decisi e feroci nelle azioni. Si venne a conoscenza degli orrori da loro commessi a San Severo, a Barletta e Trani. Nelle campagne di Foggia erano stati visti militari da loro impiccati ad alberi. Si apprendeva, inoltre, che gli Alleati erano giunti ad Avellino e si dirigevano verso Foggia.

Intanto, come in altre località italiane, anche a Sant’Agata si raccoglievano firme di adesione al fascismo.

Il 26 settembre due militari tedeschi tornarono in municipio per chiedere altre vetture loro necessarie per circolare senza essere riconosciuti. Diecine di autocarri tedeschi con soldati e munizioni sostavano sulle strade carrozzabili che portavano al paese; molti erano nascosti nei boschi coperti da alberi recisi. Furono minate la maggior parte delle strade carrozzabili. Ufficiali tedeschi chiesero di sostare e riposare nel palazzo Fredella, nelle stanze soprastanti il molino e il pastificio. Il capo-mugnaio cedette la sua abitazione e andò via con la famiglia. Una mattina di quel mese di settembre 1943 i tedeschi giravano indisturbati per le strade del paese . La signorina Anna Rosati aprì il portone della sua abitazione (Via Garibaldi n. 5). Un bambino di tre-quattro anni era seduto sul gradino. Passò di lì un giovane soldato tedesco in divisa. Si fermò di colpo e guardò intensamente il bambino. Con uno slancio lo prese, lo strinse a sé e lo abbracciò a lungo. Anna Rosati rimase a guardare stupita. E il giovane rivolgendole lo sguardo: “È uguale a mio figlio che ho lasciato nel mio Paese”, disse.  E pianse.  Pianse anche lei. Certi sentimenti sono universali e non conoscono sorta di barriere. Affratellano gli uomini che la guerra vuole dividere.

La notte il paese era completamente al buio e nelle case mancavano, oltre alla corrente elettrica, le candele, e non si potevano accendere i lumi neppure nelle chiese.

Un mitragliamento aereo ebbe luogo a mezzogiorno del 27 settembre alle porte del paese, altri mitragliamenti alla svolta della Riola. I tedeschi erano annidati nella campagna della Tofora. Un gruppo s’inoltrò nel bosco comunale Bosco e Lavanghe, appiccò un incendio che divorò oltre 40 ettari di bosco, di cui una sezione di piantagione di quattro anni ed una di due anni, per un danno di oltre 30000 mila lire. Il commissario prefettizio Ascanio Barbato deliberò di vendere a lire 12 il quintale (almeno 800 quintali) la legna che si poteva ricavare dalle piante danneggiate.

La sera del 27 un gruppo di tedeschi entrò nel bar di Luigi Ventura e con minacce prese 60 bottiglie di liquore, altre 29 dal bar di Nicola Antonacci. Una notte di fuoco tra il 27 ed il 28 settembre. Vennero minate le vie Candela-Sant’Agata-Accadia-Monteleone. Una mina scoppiò il 28 settembre al bosco delle Cesine, facendo saltare in aria un carro agricolo, sul quale erano Luigi Antonio D’Esibio (Biangone), 30 anni, e Rocco Di Virgilio di 17 anni. Entrambi morirono sul colpo. Un mulo venne completamente squarciato, un altro ferito a morte, un terzo non si trovò più. Per i due giovani, morti per una guerra infelice, si celebrarono solenni funerali ai quali partecipò tutto il popolo. Nello stesso giorno altre bombe esplosero sulla rotabile che portava in paese, proprio sotto al Monte della Croce, causando la morte di due muli di Pasquale Solimine, miracolosamente rimasto illeso. Un’altra mina scoppiò nelle mani di tre giovanissimi uccidendoli: Barrasso Giuseppe, Benedetto Antonio, Casella Giovanni. Erano a servizio nella masseria di “Ciommarino”. Pasquale Malamisura (fu bidello nelle scuole) rimase ferito per aver preso con le mani un ordigno, mentre per la stessa ragione morì a Monterotondo un giovane di Trevico, pastore.

I tedeschi in ritirata portarono con loro la giovane Maria Colotti (Scialebba), che non fece mai più ritorno. Si seppe che sposò uno di loro.

Mercoledì 29 settembre in autoblindo, guidati da un tenente, arrivarono finalmente a Sant’Agata gli inglesi. Ai primi sette seguirono militari americano-canadesi. Tolsero mine e ostruzioni poste dai tedeschi sulle strade con l’aiuto di quattro civili. In piazza furono accolti festosamente e fece loro da interprete Viola Antonio (Anduniucce le zuoppe, Tallarone), appena tornato dagli Stati Uniti con una buona conoscenza della loro lingua. La popolazione respirò aria di libertà. Nel clima di generale euforia, Leonardo Leo (Ciccheraniélle) dal balcone del Comune gridò: «Abbasso il fascismo! Oggi la festa è nostra!». Il maresciallo dei carabinieri voleva arrestarlo, ma il popolo si ribellò e per un attimo si temette il peggio. Intervenne l’avvocato Leonardo Russo che riportò la calma facendo notare come non fosse quello il momento per insorgere o reprimere.

Un reparto di anglo-americani rimase a Sant’Agata alcuni mesi. Prese possesso della masseria di Claudio del Buono alla Bastia ed assunse una cinquantina di adulti ed anche una diecina di ragazzi sui 10 anni (in tutto una sessantina di persone) per lo svolgimento di varie mansioni. Erano retribuiti con cinque lire al giorno. Tanto per quei tempi. Ma furono tutti cacciati per colpa di un santagatese che osò rubare (N. M.). Durante la permanenza in quel luogo gli Alleati si esercitavano in tiri con i carrarmati ed in esercizi militari.

Tra gli americani di colore qualcuno cercò di violentare qualche donna. Per loro si prostituivano sei-sette donne santagatesi, di cui si tacciono i nomi.

La presenza dei tedeschi, delle truppe anglo-americane, dei soldati sbandati, cui si diede vitto e alloggio, il servizio di protezione civile, i bandi pubblici emessi per il coprifuoco, per lo stato di allarme, per avvisare la popolazione delle strade minate, la liberazione delle stesse dalle mine comportarono molte spese per l’amministrazione comunale, che accolse, dopo il bombardamento aereo del 22 luglio e del 19 agosto 1943 su Foggia, molti sfollati.  Di essi, tanti furono sistemati nelle aule scolastiche, altri trovarono ospitalità presso famiglie e presso la Casa del S. Cuore di Gesù. Qui furono ricoverati 30 sfollati dell’Opera Pia “M.G. Barone” di Foggia, essendo stato quest’istituto requisito per ospedale militare. Il ricovero fu approvato dalla prefettura di Foggia per lire 15 al giorno. Non c’erano materassi e biancheria sufficienti, per cui i vecchi, che arrivarono con i soli indumenti che indossavano, dovettero dormire su materassi messi a terra.

N.B. Mi è stato possibile realizzare questa ricerca grazie a documenti d’archivio ed al prezioso  contributo di testimoni diretti: Donofrio Pietro, Donofrio Nicola, Carmela Marinaccio, Anna Rosati, Lucia Schiavone, Gregorio Zanzonico. Per loro un grato ricordo.