(20/01/2019)
IL CARNEVALE
In Ricordo del Prof. Michele Antonaccio

di Redazione
Una mascherata di tanti anni fa
 Una mascherata di tanti anni fa


Una Mascherata di oggi
 Una Mascherata di oggi


di Michele Antonacciouna mascherata di qualche anno faSiamo a Carnevale, ragazzi e giovanetti si aggirano nel paese intonando << Lu cupe cupe » il canto onomatopeico che accompagna il caratteristico suono prodotto da un barattolo coperto da un pezzo di stoffa che viene compressa da un bastoncino fatto abbassare e sollevare con movimenti ritmici. Altri gruppi si susseguono, o vanno a trovare gli amici raccontano intelligenti barzellette, ricevono spesso << li salzicchie », come per rispettare una certa consuetudine e poi rincasano contenti di aver compiuto un rito necessario a mantenere in vita una tradizione locale. Possono nel passato aver dato splendore a Venezia, a Firenze, a Viareggio e a Roma, conme in Francia e nella Spagna gli spettacoli del carnevale con le loro stupende sfilate di carri; ora tutto sembra finito e qualche tentativo di dar vita a quanto sta tramontando risulta sempre più vano ed inefficace.
Il lusso s0ffoca la semplicità, la spontaneità, la naturalezza di certe feste che hanno radici profonde nella storia dei popoli.
<< Semel in ann0 licet insavire », una volta all`anno è lecito dare libera manifestazione all`allegria, senza le limitazioni imposte dalle convenzioni sociali che spesso si basano sull’ipocrisia.
I lupercali si celebravano verso il 15 febbraio fin dai tempi antichissimi, vari secoli prima dell’era cristiana, e avevano lo scopo di augurare la fecondita della natura e il progresso alle persone che si incontravanr e che venivano toccate sulle spalle o sulla mano con strisce di pelle di capra.
I celti, vari millenni or sono, nella folta foresta della Gallia, al chiarore della luna, al solstizio d`inverno, facevano offrire dai Druidi, durante le feste, rami di querce e vischio a tutti i partecipanti.
La festa, che ricorda assai da vicino il nostro carnevale, è quella che si celebrava in onore di Saturno, antico dio romano delle seminagioni.
Allora, come ora a S. Agata, il re dei saturnali era rappresentato da una grottesca figura di paglia che veniva processata e messa a morte fra schiamazzi e finti lamenti nell’intento di voler rappresentare l’incamazione della divinità della vegetazione annualmente uccisa e rinascente su cui la Comunità umana scaricava tutti i mali. Danze, maschere, lanci di confetti e di coriandoli volevano rappresentare, come ora, riti necessari a propiziare la fertilità.
Questa diffusa festa popolare continua a celebrarsi là dove le mode occasionali, il lusso la frenesia del piacere hanno alterato l`integrità dei costumi. Persiste certamente in forma diversa, perché diversa è la nostra mentalità e rappresenta comunque una esigenza dell’uomo di esprimere la propria gioia di fronte alla natura che comincia a dare i primi segni di risveglio in prossimità della pre-primavera.
E` la speranza di rinascita alla vista del grano che, dopo essere marcito nella terra, rispunta annunziante messe rigogliosa.
E` la fiducia nella vita che si accresce alla vista delle gemme dei mandorli e degli alberi da frutta in genere, già pronti a dare fiori meravigliosi.
E` l’attesa della quaresima, e quindi della Pasqua, che fa cantare gioiosamente il giovine santagatese mascherato, inconsapevole continuatore di una vecchia tradizione. In lontananza si perde lo scherzoso e sempre caro ritomello: << dammi la parte ru lu gruffèlere!! ».
Lu cupe . . . cupe
Aggi cantéte sòpe a na finestra
lu cupe cupe vole la minestra;
Aggi cantète sòpa a na cucina
lu cupe cupe vole la furcina;
Ave ritte zi Andreia
sceme a Foggia a treia a treia
Ave ritte zi Filèse
me rè nu poche re chèse;
Ave ritte Taresucce
me rè nu buccherucce;
Canta la gallina e còtela li rine
pe dé la bona sera a re signurine;
Canta lu galle e còtola la còre
pe lassé la bona sera a stì signùre.