(11/01/2019)
LU STRINGETURE RE ZE VETUCCE


di Mario De Capraris


Se si pensa al tempo passato al paese, le immagini hanno un sapore naif, tipo, non so, quelle relative alla scuola elementare. Si saliva la scalinata e poi di stanza in stanza si arrivava a quella finale dove c’era la mia classe. I banchi erano di legno, tutto un blocco comprese le panche su cui ci si sedeva. All’estremità della parte superiore del banco c’era il calamaio con l’inchiostro, nel quale si bagnava il pennino. Con quell’inchiostro si sporcava dappertutto, persino la faccia. Poi un anno, alla quarta elementare, cambiammo posto e andammo a fare scuola in una casa che si trovava a “lu vucchele chiatte” e come insegnante avemmo un maestro di San Giovanni Rotondo, un tipo talmente calmo e pacione che ci sentivamo disorientati, abituati come eravamo ai soliti maestri irascibili e minacciosi. In quell’aula si gelava, però un giorno venne il medico che, passeggiando tra i banchi, seduta stante decise che ognuno di noi era una stufa perciò non potevamo stare che al caldo. In casa, al piano terra, al massimo si usava “lu vrasciere” vicino al quale stazionava fisso il gatto di casa che aveva sempre freddo e un po’ fungeva da parafulmini per i padroni di casa, i quali quando stavano nervosi se la scontavano con lui. E comunque il gatto aveva un suo status. Me ne accorgevo quando andavo a trovare nonna Nurecchia, sotto a “lu castierre”. Io ero geloso del gatto di nonna, perché lei riservava molta più attenzione a lui che a me, sebbene spesso lo rimproverava. Ma nonna lo rimproverava in un modo particolare: lo faceva saltando su se stessa e gridando “sicce rra”. Al che l’animale spariva per tornare quando era passata la sfuriata, col suo passo lento e felpato, e con l’aria come se volesse dire “come mai questo silenzio? è successo qualcosa?” ma nonna non demordeva “lu i, fèce pure finda re niende”. E quel poco di tempo che stavo insieme con nonna, lo passavamo così, col gatto protagonista, perché lei non era capace di instaurare un dialogo coi nipotini, ma al massimo sapeva intrattenere una relazione col gatto. Ma, tornando alla scuola, dopo aver fatto la quinta ci apprestammo a passare alle medie, e per questo occorrevano gli esami di ammissione, perciò si dovette andare privatamente a casa di un maestro per prepararci. Per lo scopo fu necessario comprare il libro adatto che comprendeva tutte le materie e nella parte dell’italiano c’era qualche poesia di Leopardi con delle figure colorate bellissime, tipo la donna che si affacciava sull’uscio nella poesia “La quiete dopo la tempesta”. Poi passammo alle medie nei locali sotto “la chiazza” e lì, nella palestra, ogni anno si teneva la premiazione e veniva regalato l’Iliade o l’Odissea e il relativo diploma di merito. Intervenivano il prete, il sindaco e le famiglie. (continua)