(03/10/2018)
MUOVERSI A PIEDI


di Mario De Capraris

MUOVERSI A PIEDI
Di solito, siccome si proviene da un paese dove ci si muoveva solo a piedi, si pensa di poterlo fare anche in città. Infatti questa era la mia convinzione quando, stufo di prendere mezzi pubblici affollati e scomodi, una mattina che il tranvetto era più impossibile che mai dal momento che non si poteva stare né seduti né in piedi, a metà percorso, a Centocelle, scesi e mi avviai a piedi lungo la via Casilina. Allora abitavo in quella zona dove poi sarebbe sorta la città univeristaria, a Tor Vergata, solo che allora erano quattro case, abitate da quattro gatti, in mezzo a una campagna sconfinata. Insomma ero diretto alla stazione Termini quando, ripeto, ebbi la felice idea di scendere dal tram per fare la strada a piedi. Mi ero detto:
“Che sarà mai? Quattro passi e in un attimo sono a destinazione. Raccomandano, di camminare. Ne ho l’occasione, tanto vale che ne approfitto.”
Ma una cosa è fare la strada con un mezzo di trasporto e un’altra cosa è farsela a piedi. Infatti, cammina e cammina, i passi non erano quattro e il tempo non era un attimo. In breve, anche se con passo affrettato, arrivai tardi in ufficio e ricreduto sulla possibilità di ripetere più l’operazione. 
Allo stesso modo, in tempi più recenti, mi è venuta l’idea di muovermi a piedi nella città dove abito, Foggia. Ero in procinto di uscire per una serie di commissioni nella zona centrale allorché mi sono detto:
“Adesso se esco con l’auto rischio di trovarmi in un bel casino. La macchina, anziché facilitarmi, va a finire che mi è d’impaccio, perché tra difficoltà a trovare parcheggio, zone a traffico limitato, cartellini di sosta che scadono e traffico intasato, dovrò badare più all’auto che alle commissioni che devo sbrigare.”
Così lascio la macchina in garage e mi incammino a piedi. Non potete immaginare quale nuova sensazione di libertà significhi camminare con le proprie gambe. È come se muoversi in macchina equivale ad essere schiavi e muoversi a piedi equivale ad essere liberi. I segnali stradali non sono stati più un problema. Così ho imboccato un senso vietato, ho girato a destra dove c’era l’obbligo di girare a sinistra, ho sostato nel divieto di sosta. Ad un semaforo, visto che non transitava nessuna macchina, sono addirittura passato col rosso. Insomma in questo modo, senza dover pensare all’auto, ho avuto la possibilità di sbrigare facilmente il servizio al tale ufficio, la pratica al tal altro ufficio, alla tale agenzia, alla tal’altra banca. Ma anche stavolta, quando mi ritiro, non sono più propenso ad usare più le gambe perché mi fa male il tale osso, la tal’altra costola, la tale giuntura, la tal’altra articolazione.
Infine, dopo essermi cimentato sia nella città grande che nella città piccola, ecco che un giorno mi trovo al mio paese e non poteva mancare, specialmente qui, il solito vecchio desiderio di muovermi a piedi.
“Che diamine” esclamo “ti pare che anche a Sant’Agata mi devo muovere con la macchina? Come mi muovevo su e giù per il paese quando ero ragazzo se non a piedi?”
E siccome il ragionameno non fa una piega, parcheggio l’auto al Calvario e mi incammino per la piazza, e dopo della piazza verso l’abitazione di mia zia che si trova sotto il Castello. Non l’avessi mai fatto. Altro che camminare a piedi. Questa volta, a causa dell’arrampicata, è stato peggio delle altre volte. La lingua mi è arrivata per terra e per poco ci voleva la bombola di ossigeno.