(19/10/2017)
LA RACCOLTA DELLE OLIVE A SANT'AGATA DAL LIBRO " TORNO " DI NICOLA PERRELLA


di Nicola Perrella


L’inverno del borgo era rigido e buio, veniva però illuminato da tanta neve che ai primi di dicembre preannunciava il Natale. Come ogni borgo dell’Appennino a oltre settecento metri d’altezza l’aria diventava frizzante e odorosa di legna e di fumo già dai primi giorni di novembre, l’arrivo della prima neve si preannunciava con le gelate mattutine che trasformavano ogni pozzanghera in uno scrigno di ghiaccio bianco dalle mille striature geometriche. Ai primi di dicembre si iniziava la bacchiatura delle olive, la mattina presto,alle cinque, noi bambini venivamo svegliati dall’ odore del soffritto con pomodorini e olive morte; e dal vociare delle “iurnatere” raccoglitrici di olive a pagamento che arrivavano a casa imbacuccate e pronte per una lunga giornata tra gli ulivi a raccogliere il nero frutto dell’inverno. Lungo il muro “r lu pont”, proprio di fronte alle ferrarìe dei maniscalchi che lì, tutti in fila avevano le proprie botteghe di mascalgia: mast Rocc, mast Nardin e mast Lnard l’ott r magg” si formava la lunga processione dei bacchatori di olive. Era un susseguirsi di uomini, donne, muli carichi di scale e di sacchi di iuta, asini carichi di ogni masserizia che servisse alla bisogna. La raccolta delle olive era un lavoro duro e complesso, in ogni uliveto oltre ai bacchiatori c’erano anche i potatori che provvedevano subito dopo la bacchiatura di un ulivo a potarlo e a tirare fuori dai rami potati la legna grossa per il camino, la ramaglia media per la carbonella, la ramaglia sottile per confezionare le fascine per la fornacella:(sorta di cucina in muratura con grossa caldaia in rame per lessare la verdura e la pasta fatta in casa). Io ero addetto alla raccolta della ramaglia media, che radunavo in ben definiti spazi lontani dagli ulivi. Una volta accatastate enormi pile di ramaglia, le si dava fuoco, controllandone le vampe con spruzzi d’acqua, fino a che non rimaneva un cumulo di brace semi combusta che fatta sapientemente consumare, diventava carbonella per il braciere domestico. Anche il trasporto dei sacchi pieni di olive con i muli e gli asini era compito mio, lungo la mulattiera del piano delle querce, fino al frantoio. Venivano caricate le bestie con tre sacchi di iuta pieni di olive: due ai lati del basto e uno tra i due, come un enorme acca. Lungo la mulattiera della “tofra” in salita, i muli e gli asini andavano da soli come locomotive, sbuffando e schiumando come dannati. Io dovevo seguirli, badando a che i basti non pendessero da un lato col pericolo di sbilanciare le bestie facendole cadere rovinosamente. Se si verificava l’evento, dovevo appendermi a contrappeso dal lato opposto allo sbilanciamento, facendo in modo da invertirlo, fino a riportarlo in equilibrio. Era molto divertente fare ciò, c’era il fascino del pericolo e del compito da adulti che io piccino potevo assolvere con orgoglio. Quando i dannati muli acceleravano lungo la salita, pur di tenere il passo mi attaccavo alla coda dell’ultimo e mi facevo trascinare badando a che la bestia non calciasse. In un mare di sudore fumante si arrivava al frantoio di Sciarrillo dove gli operai addetti scaricavano le bestie e io coglievo l’ occasione per andare ad inebriarmi dell’odore dell’olio nuovo. Il trappeto era una bolgia di lavoro, rumore, e frenesia che faceva vibrare il pavimento, al ritmo delle enormi macine di pietra che girando vorticosamente schiacciavano le olive. Le presse spremevano i friscoli spalmati di sansa oleosa, facendo ruggire i motori elettrici delle presse idrauliche, alla fine il separatore centrifugo faceva sgorgare il giallo e profumato olio come un fiume d’oro liquido. 
Ho passato tanto tempo nei trappeti di “Ronclavio”,”Ronnascanio”, affascinato dalla frenesia e dal lavoro al fine di ottenere la linfa stessa di madre terra. Era bello stare a guardare quel duro lavoro invernale: fuori il gelo e la neve, dentro il caldo avvolgente che scaturiva da tanta energia. La fase finale del ciclo oleario era battuta al ritmo dei friscolatori che con vandére di iuta unte davanti alle gambe, armati di grossi bastoni, battevano i friscoli per separarli dalla sansa secca dopo la spremitura nelle presse.