(18/10/2017)
COMMENTO AL LIBRO “LA MIA FOGGIA” DI ALFONSO DE CAPRARIS


di Mario De Capraris


 

Il libro “La mia Foggia” di Alfonso De Capraris è una miniera di storie, aneddoti, fatti, informazioni. Nel leggerlo è facile indugiare sulle pagine talmente si presenta interessante. Io stesso ho ancora molto da leggere, ma ho voluto lo stesso scrivere subito, a caldo, le mie prime impressioni perché viene spontaneo commentare.

Alfonso descrive in prevalenza della sua esperienza di ragazzo durante la seconda guerra mondiale. Ed una cosa salta subito agli occhi: mentre riferisce di episodi in cui si è trovato come testimone, anche quando si tratta della situazione più difficile sa coglierne l’aspetto positivo, a volte ironico. A ciò che puo’ essere sconvolgente per un ragazzo sa assistere sempre col senno e capacità di adattamento. Altre volte è animato dal piglio dello studioso, per esempio quando cerca di capire il motivo della bomba caduta proprio sul suo palazzo, e ne dà una sensata spiegazione col fatto che al centro del palazzo, sulla scalinata (che io conoscevo molto bene a suo tempo quando andavo a trovare la madre, zia Nunzia), c’era il lucernario che, sia di giorno che di notte, mandava un riflesso. Riflesso che aveva attirato l’attenzione del puntatore dell’aereo che aveva buttato la bomba.

Lui racconta della guerra con la normalità che avrebbe usato se si fosse trovato a raccontare dei tempi di pace. E per certi aspetti, da storico anomalo qual è, dal momento che non si è formato sui libri ma ha vissuto in prima persona la storia, ci rivela particolari inediti che non si trovano in nessun libro di storia, come il comportamento degli Alleati non proprio ortodosso, perché gli Alleati erano sì forze di liberazione ma anche forze di occupazione, con tutta la scia di violenza e prepotenza che questo comportava (imperdibile il tratteggio del generale Patton).

Quando dice “la mia Foggia”, quel possessivo “mia” appare riduttivo perché la città la sente più che sua, la città la intende come casa propria. Infatti quando è sfollato a Sant’Agata con la famiglia e vede gli aerei alleati che passano nel cielo, mentre gli altri ragazzi salutano euforici il loro passaggio, lui invece non partecipa all’euforia, anzi è preoccupato perché sa dove andranno a sganciare il loro carico di morte: sulla “sua” città. Immaginabile il suo sconcerto quando a fine guerra si troverà davanti alle macerie provocate dall’eccessivo esagerato bombardamento alleato.

La storia di Alfonso (compagno di banco di Renzo Arbore, nonché vicino di casa) è interessante perché si sovrappone alla storia della città e del Paese. Di fronte alla sua storia, quella nostra appare quella che è: scialba.

Ma l’aspetto fondamentale che domina l’intera opera si puo’ riassumere in una breve considerazione: l’autore, anche se si è trovato nel periodo bellico in condizioni precarie e dal futuro incerto, il suo innato ottimismo è stato sempre la sua forza e per noi che lo andiamo a leggere è una lezione di vita.

Mario De Capraris