(18/04/2017)
ULTIMO GIORNO AD ARTEMISIUM


di Maria Michela Soldo



Sono in cima al monte, seduta sulle rovine delle antiche mura di cinta del Castello Imperiale, adesso lo chiamano così. Non c'è anima viva, a parte me, le mosche, i fringuelli, i grilli, le farfalle, le lucertole. È per timore di queste ultime che mi sono rannicchiata alla bene e meglio su questo spuntone di pietre. Il cielo è terso, l'aria è già calda, una lieve brezza accarezza tutto il paesaggio e muove appena i pini abbarbicati sui dirupi diffondendone il profumo. Sento un rumore di frasche e appare un felino nero, snello, furtivo, ma coraggioso. Si ferma a fissarmi con la fierezza di una pantera subappennina, poi si infratta prudentemente per tener fede al gatto che sa di essere.
Il concerto di volatili si arricchisce del rumore di una trebbia lontana o del fugace rombo di un motore. Intorno a me si stende un mare di malva e primule gialle, dietro, vegetazione secca, abbattuta al suolo dai temporali della settimana scorsa.Si aggiunge al coro di suoni il rumore precario di una zappa, strumento che rammenta la presenza dell'uomo poco distante. Danzano, apparentemente sospesi nel nulla, aghi di pino, forse incappati in un'invisibile tela di ragno tessuta in silenzio e nell'ombra. Or si sente il tintinnio di una campanella che segna la mezzora, le fanno eco altre di parrochie vicine differite di qualche secondo.
Scaccio con suoni animaleschi una lucertola che non si è accorta della mia presenza. Eppure faccio parte del quadro, nel mio vestito giallo di seta e cotone, che salta all'occhio di audaci insetti. Avvicinandosi si accorgono che non appartengo al regno vegetale, ma crogiolandosi in un volontario autoinganno continuano a ronzarmi intorno. Un gallo canta, tardi per la verità, quando tutta la natura è già sveglia. 
Ultime giungono le rondini, che cominciano a sovrastare le altre sobrie voci, ma il meglio dei loro melodrammi si può gustare al pomeriggio dalle finestre del lato edificato della montagna. Sfrecciano libere, intrecciando ricami tra le ardite traiettorie delle loro simili, mai un intoppo, mentre il cielo si fa blu e rosa, all'imbrunire, per incorniciare il profilo dei loro neri rapidi corpi in volo perenne.
Giunge anche il verso di un cane, forse un lamento per la fame o per la mancanza di un padrone. Anche la libertà ha un costo.
Ritornano – è passato un altro quarto d'ora – i rintocchi a catena delle campanelle sfasate, sempre allo stesso modo. Al prossimo giro mi rialzerò e me ne andrò. Chissà che cosa ero venuta a cercare in cima al monte nel silenzio che non ho trovato. Ma forse Dio, oggi, mi parla così.