(18/09/2014)
LA SILVIA DI GIACOMO LEOPARDI PARTE SECONDA


di Mario De Capraris

Siccome ho avuto il sospetto che con la prima parte non ho annoiato abbastanza, ecco che, affinchè la noia sia completa, con questa seconda parte ritorno sul luogo del delitto, cioè sull'argomento, ma voglio assicurare chè non ci sarà una terza parte.

Dunque la poesia “A Silvia” in fondo, da parte di Leopardi, altro non è che un ricordare, un esclamare e un interrogare.

L'autore incomincia rivolgendosi alla ragazza, che, come sappiamo, è morta dieci anni prima e dice: “Ti ricordi … eccetera?” che è un interrogativo puramente formale. Poi descrive ciò che faceva la ragazza, la quale era occupata in attività femminili e descrive anche quello che faceva lui, il quale altro non poteva fare che poetare e perdersi nel sogno d'amore per lei.

Ed eccoci alle esclamazioni: “Che pensieri soavi, che speranze, che cori, o Silvia mia! Quale allor ci apparia la vita umana e il fato!”

Ripensandoci, non puo' fare a meno di constatare in quale situazione idilliaca di beatitudine si trovasse allora quando fantasticava preso dall'amore per la ragazza e ricorda come si presentasse ad entrambi splendida la vita e radioso il futuro.

Dopo di che passa agli interrogativi: “O natura, o natura. Perchè non rendi poi quel che prometti allor? Perchè di tanto inganni i figli tuoi?”

A questo punto bisogna precisare alcune cose. Dunque il Poeta aveva appena detto come la giovane si preparasse gioiosa e ottimista alla vita. Cantava, lavorava, faceva innamorare. La sua vita è piena di promesse. L'autore non ha ancora parlato di come poi il futuro non mantenesse queste promesse. Ma già è adirato contro la natura. Già le si rivolge contro chiedendole conto del perchè non mantenga ciò che promette. Parla di inganno pensando anche a se stesso, oltre che a Silvia: “E tornami a doler di mia sventura” perchè la storia della ragazza è anche la stessa di lui, che aveva avuto tante promesse dalla vita e poi non si erano tradotte nella realtà. Il suo risentimento è dovuto all'inganno di cui si è vittima. Parla per sé e per la ragazza, ma il problema è universale. In questo passaggio non contesta la realtà che si manifesta nella sua forma negativa, ma contesta l'inganno che opera la natura creando delle condizioni fantastiche che poi vengono sistematicamente distrutte.

Subito dopo ricorda come la giovane sia morta.

Quindi paragonando la ragazza alla speranza non gli resta che la sconsolata esclamazione: “Ahi come, come passata sei, cara compagna dell'età mia nova, mia lacrimata speme!”

Ed infine, ultime amare riflessioni, si lascia andare a nuovi interrogativi, ma questi non sono come gli altri, questi sono disperati interrogativi simili a sentenze, privi della minima speranza, sono delle condanne senza appello. Adesso le sue riflessioni non riguardano più l'inganno ma la vita in se stessa, l'uomo e il suo destino:

“Questo è quel mondo? Questi

i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi

onde cotanto ragionammo insieme?

Questa la sorte dell'umane genti?”