(26/07/2014)
ANCHE I BRIGANTI SI INNAMORANO... ECCO LA STORIA RACCONTATA DA LICIA GIAQUINTO


26.7.2014
Sulla strada tortuosa che porta a Sant'Agata di Puglia, tra le ombrose foreste e le amene colline si nasconodo storie leggendarie che riportano alla mente quei briganti gentiluomini che hanno opposto resistenza ad un'Unione fatta male e sopratutto pianificata sulle spalle della povera gente. Qui in questo luogo quasi leggendario, e tra i paesi limitrofi di Lacedonia, Rocchetta, Candela e Melfi si consuma una delle storie più cruenti e allo stesso tempo romantiche del periodo brigantesco. A romanzare la storia del brigante santagatese Giuseppe Schiavone è Licia Giaquinto, con il suo nuovo libro La briganta e lo Sparviero. È una favola «viola» (come non riandare alla collana «primitiva» einaudiana). Un'ulteriore discesa nelle viscere della «selvaggia» Italia (che non sale sulla carrozza del mondo, catafratta in una atavica clausura), fra Basilicata, Campania e Puglia. Come mentore Licia Giaquinto, inestirpabili, mai assopiti, natali irpini, fedele, fedelissima al richiamo dell'humus. 
Esemplare, fra le sue prove narrative, La ianara, una figura che non manca di una partecipazione straordinaria nella nuova vicenda: «Quella notte c'era stata la luna piena, e di sicuro, però, le ianare erano passate di lì per andare a Benevento a leccare il culo al diavolo...». 

È una cantastorie, Licia Giaquinto (con Laura Pariani e Silvana Grasso andando a comporre un trio di inviate speciali nello Stivale «magico»). Qui, nelle pagine fresche di stampa, «rappresenta» il Sud che escogita il brigantaggio come antidoto contro il velenoso intruglio dell'Unità d'Italia. Via gli odiati piemontesi, magari per ricadere nella brace borbonica. O, i banditi più «illuminati», i Robin Hood tout court, via questo o quel potere costituito per dare la terra ai poveri... 
La briganta e lo sparviero. Filomena, sopravvissuta, unica, alla follia della madre che partorisce figli morti, o da lei subito soppressi, concepiti - sostiene - con le anime dei defunti, in realtà figure in carne e ossa, compaesani perennemente infoiati. Giuseppe (Schiavone), prima disertore, non avendo risposto all'appello sabaudo, quindi nella banda di Carmine Crocco, meritando l'accostamento al rapace per il modo di attaccare. 
Tra la briganta e lo sparviero, Rosa Giuliani, la pastorella che Giuseppe una volta vide bella, innamorandosene. Ma i due cuori non raggiungeranno l'altare. Forse lei «aveva messo il carro davanti ai buoi» portando le lenzuola a ricamare. Di certo (ecco apparire Filomena), galeotta sarà una vipera, che, in breve, feconderà un groviglio di serpi. 

Licia Giaquinto, non si fraintenda, non si muove nel solco del romanzo storico. Passionalmente fredda, onora un privatissimo eden, dove respirano la diceria (di una qualità stilistica che ne sfarina la gramigna), la credulità (che è una forma di sapienza), la visionarietà (che è una devozione non genuflessa), i fiori del male (ignari di qualsivoglia serra). 

Come Rosa Giuliani - qui il suo sigillo - Licia Giaquinto costruisce «una specie di campana di vetro, come quelle che si mettevano sui comò con dentro i santi e le madonne. E sotto questa campana si isolò dal mondo». Ricamando una stregoneria o una benedetta pozione, una via perfida o provvidenziale all'Unità d'Italia. Che accade se un piccolo brigante plana nella nordica dimora dell'ufficiale regio? (fonte La Stampa) #briganti #Liciagiaquinto #editoria
 
Fonte social.i-sud.it