(15/08/2025) IL TRATTORE LANDINI TESTA CALDA IL MONDO RURALE DI UNA VOLTA di Mario De Capraris | ||
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di Mario De CaprarisDopo averla aspettata un tempo che pareva un’eternità, finalmente stava arrivando. Per tutte le masserie si era sparsa la voce del suo arrivo. Così ci precipitammo a vederla alle masserie dei Petrone dove tenevamo il nostro modesto covone di grano, insieme a tanti altri. Infatti eccola là che avanzava. Un parallelepipedo malfermo sulle gambe rachitiche, cioè sulle strane minuscole ruote, la trebbia veniva a rilento trainata da un trattore e, siccome la base era troppo stretta rispetto alla smisurata altezza, dava l’impressione che da un momento all’altro si sarebbe rovesciata su un lato. È per questo che sia da una parte che dall’altra c’era chi la sosteneva. Insomma la trebbia infine arrivava sull’aia ormai strapiena di covoni che aspettavano di essere trebbiati. E si faceva festa, eravamo tutti allegri perché si poneva fine all’attesa e al timore che venisse a piovere col rischio che il grano sarebbe “cigliato” (cioè germogliato).Quando venne il nostro turno, una mattina il covone venne trebbiato. I nostri sacchi vennero ammucchiati in un posto sull’aia e da allora bisognava aspettare solo il commerciante per vendere il grano. Ma era tardi e si seppe che sarebbe venuto il giorno dopo. Così per la notte fu deciso che sarei rimasto io a guardia dei sacchi di grano. A sera, che ormai tutte le ombre erano calate e rimaneva poco al buio più completo privo di luna, la famiglia mi salutò e tornò alla masseria in contrada San Pietro Ursitano. Io, che negli anni Cinquanta ero un ragazzo, poco dopo sentivo che per il sonno mi era difficile tenere gli occhi aperti per gli eventuali ladri. Mi allungai sui sacchi di grano e fu allora che vidi un cielo che non avevo mai visto prima né avrei mai più visto: un cielo pieno zeppo di stelle e talmente basso che sembrava si poteva toccare con un dito. E così mi misi a dormire che, se venivano i ladri a rubarsi i sacchi, potevano portarsi anche me, non mi sarei accorto di niente. Ma stranamente, ci fu uno che nel buio si ficcò attraverso i sacchi, si calò a guardarmi fisso negli occhi e disse:“Guarda che io sono un ladro. Sono venuto a prendermi i sacchi.”“No, i sacchi no” dissi deciso. Il ladro allora cacciò una pistola e disse:“Allora ti devo sparare” e sparò un colpo, però non fu un colpo normale, ma fu un’esplosione cui risposero, ognun col suo verso, tutti gli animali delle masserie, tutti i cani, tutti i maiali e tutte le bestie delle contrade vicine. Capii che era stato tutto un sogno ma l’esplosione era vera, reale. E ne seguirono tante altre di esplosioni. Doveva essere l’alba, anzi prima dell’alba che cominciava a fare chiaro, quando scoprii come veniva messo in moto il trattore Landini Testa Calda. In quell’ora in cui tutto era silenzio e quiete, i potenti colpi del motore del trattore squarciavano letteralmente l’aria mentre due uomini provvedevano all’operazione dell’accensione. Con la fiamma della bombola a gas riscaldavano la calotta del motore. Il trattore Landini Testa Calda, con la sua moderna tecnologia, permetteva, tramite l’apposita cinghia di trasmissione, di usare la trebbia, un macchinario moderno che aveva reso obsoleto l’uso di far rompere le spighe di grano ai muli che giravano in tondo. Io stavo ancora disteso sui sacchi quando l’aia fu tutto un brulicare di gente. Allora andai anche io vicino al trattore a sentire i ragionamenti che facevano gli adulti. Pare che il motore Landini avesse una potenza di quasi 50 cavalli e che veniva già usato peer le prime mietitrici che si vedevano in giro. Non si usavano più falci e non si facevano più né “gregne” (fasci di spighe di grano) e né “asierre” (piccole cataste di fasci di spighe). Io pensavo alla nostra asina la cui potenza era meno di 1 cavallo e a come ci ammazzavamo per trasportare le gregne sul basto dell’animale per mezzo dell’”ingegne” (una costruzione di legno messa sul basto dell’asina che conteneva i fasci di grano). Il povero animale si faceva una salita nel bosco talmente ripida che ci mancava poco per cascarsene all’indietro con tutte le gregne. Il trattore Landini di 50 cavalli era un sogno. Pagavamo ancora qualche mietitore superstite che per poche lire passava alcuni giorni da noi, dormendo nella stalla. Nei primi anni Sessanta, durante l’anno scolastico, io stavo Foggia a fare la scuola e sentivo le chiacchiere degli amici. C’era chi si era comprato la Seicento, il frigorifero, la televisione, chi parlava di vacanze al mare a Siponto. In campagna non c’era luce elettrica, non c’era acqua corrente, niente bagno, niente cucina tranne il focolare. I tre cugini che abitavano in via Madonna delle Grazie, cioè zio Vito, zio Leonardo e mio padre, non erano affatto interessati alla meccanizzazione. Per loro la tecnologia poteva fare passi da gigante, non se ne accorgevano nemmeno. Vivevano tranquilli con le vecchie abitudini: la mietitura a mano, la falce, la zappa, l’orto, ritirarsi la sera sull’asina con l’immancabile fascio di rami di salice che strusciava mezzo per terra, con cui avrebbero fatto il canestro e il rivestimento della damigiana, mesi e mesi a raccogliere le olive ecc. Allora c’era una macchina spettacolare e mi meravigliavo che nessuno in famiglia se ne interessasse: la Campagnola. Ce l’aveva uno zio e la sera spesso noi ragazzi lo andavamo ad aspettare che tornava dalla campagna per essere caricati e portati a fare un giro. | ||