(30/03/2016) SANT'AGATA DI PUGLIA AMARCORD : LE CASE di Mario De Capraris | ||
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Stiamo arrivando per la strada panoramica - le tre curve, “lu muraglione” - sebbene non in buone condizioni, perchè dalle curve più vicine è possibile guardare e fotografare il paese dal basso, il grappolo di case incollate alla montagna, l'immagine si va ingrandendo man mano che si va sotto. C'è chi si fa prendere dal ricordo: “Da queste curve passava il pulman. E pensare che scendeva anche col brutto tempo. Con la neve. Vi ricordate quando si tornava di sera, che nel pulman era illuminato e fuori dai finestrini era buio? E quando si cominciavano a vedere le prime luci del paese? Poi, quando si arrivava qui sotto, in queste ultime curve, e il paese era molto vicino, si diceva: “Ecco, siamo arrivati a casa”. Mio nonno, nato il 1858, sulla finestrella ovoidale che si trova sul portoncino della casa aveva impresso le sue iniziali (PDC) e l'anno 1899. Se questo era l'anno di costruzione o di ricostruzione della casa non saprei dirlo. Ma quella di segnare la propria casa col proprio nome o con uno stemma era una mania piuttosto frequente. Il vicino zio Vituccio sull'architrave della porta di casa ci teneva scolpito (esiste tuttora) lo stemma e il cognome. La mia casa, che era adagiata sulla montagna, aveva la sola porta che si affacciava sulla strada. All'interno c'era la grotta buia priva di aperture, coperta parzialmente da un ammasso di non so cosa, mentre nella parte scoperta, seppure al buio, era visibile la roccia. Giù c'era la cantina con tre o quattro botti e una buona quantità di damigiane e barili. Anche in cantina era visibile la roccia della montagna che nei tempi antichi si diceva venisse scavata per ampliare le dimensioni della casa. E tutte le case con le spalle alla montagna si somigliavano per il grande salone centrale e la grotta all'interno. Oggi a rivederle quelle case si sente che si è in un ambiente unico e originale. Nella giornata afosa estiva, che non si muove una foglia, salendo per la strada sotto l'Ospizio e poi per Largo Lucarelli, ecco una casa con la solita carta d'identità che riporta scritto per esteso e a caratteri cubitali nome e cognome del proprietario, poi ci sono due case congiunte da un balconecorridoio, ed ecco il vento fresco e impetuoso – inspiegabile data la calura – di cui arriva il ricordo perchè quello era sempre stato un posto portato via dal vento. Si prosegue per le strade strette, poi per una piazzuola tre metri per tre, e un gatto, nella frescura di un angolo, sorpreso dal gruppo dei fastidiosi turisti di ritorno, si scuote dalla sua pigrizia e si stira sonnolento. Nessuno più del gatto puo' rappresentare l'atmosfera che si respira. Dalle case, le porte aperte, si sente parlare, l'odore del sugo, il suono di una radio. Un vecchio dalle rughe profonde, seduto sul gradino dell'uscio, guarda curioso il gruppo che va girando e guardando intorno, e forse si chiede che cosa ci sia tanto da osservare. Una donna solitaria passa e saluta, e dopo di lei non passa più nessuno. Dopo rimane solo il vento, e il silenzio. Nessuna traccia di ciò che distingue una città: gli scarichi delle automobili, i cumuli di immondizia, il rumore. Avanzando tra le viuzze contorte simili a un labirinto (sono così pulite che sembra ci abbiano passato l'aspirapolvere) ci si rende conto che la lontananza ha lasciato il segno quando a un certo punto viene il timore che non si possa trovare la via d'uscita, perchè è inconcepibile che puo' avere un timore del genere uno che conosceva tutto il paese come le sue tasche. Più che le strade aperte tipo quella del Perillo, più che la piazza principale sono queste strade interne e non frequentate le più suggestive e che danno maggiormente l'idea del posto cioè un paese che ha solo ereditato una location che lo fa così interessante da un punto di vista architettonico. Ogni angolo è un soggetto per un pittore, ogni stradina con le case che vi si affacciano è una cartolina. I nativi, che vivono altrove, spesso tornano a fare i “turisti della memoria”. Piace venire a vedere le case che hanno lasciato e dire quanto sarebbe stato bello rimanere, perchè sono tutti così quelli che vanno via, piace parlar loro del tempo che ci hanno abitato e spesso esclamare: “In quella casa eravamo in otto. Ma come facevamo?” In via delle Grazie c'era il carcere, e poi prima della chiesa c'era una scuola elementare. Invece scendendo giù sotto la piazza, dove adesso c'è un circolo pensionati, c'era la “Scuola Media Statale Antonio Salandra” (così come era scritto sull'enorme tabellone affisso sulla porta d'ingresso). In quella scuola ogni anno, davanti al pubblico composto da poche famiglie di alunni, veniva regalato agli scolari più meritevoli, oltre il diploma di merito, il libro dell'Iliade o dell'Odissea. La festa si svolgeva nella palestra, che era la stanza più grande, alla presenza di qualche professore, del segretario, del prete. Mario De Capraris | ||