Una volta alzato il covone, si rimaneva in attesa dell’arrivo della trebbia. Intanto “se scéva a recote” la vigna, cioè a smuovere il terreno superficiale, in cui, a causa del caldo, si erano formate delle crepe, o si toglieva con la zappa “ru ccurme”, le stoppie, intorno agli alberi, per evitare che questi “s’agghiurassere”, cioè venissero toccati dalle fiamme, quando si sarebbero bruciate le stoppie. E intanto, soprattutto, si sperava che non piovesse, altrimenti le spighe dei covoni avrebbero cacciato i germogli (ru ggréne ceglièva).
LA TREBBIATURA
Finché a un certo punto cominciava a circolare la voce che la trebbia era vicina. Tempo qualche giorno e sarebbe arrivata. Così un bel giorno qualcuno veniva ad avvisare e allora ci si precipitava all’aia dei covoni. La trebbia la si vedeva arrivare, lungo i campi di stoppie gialle, che veniva giù verso l’aia, mezzo traballante, tirata dal trattore Landini, e, siccome era stretta e alta, dava l’impressione che da un momento all’altro dovesse rovesciarsi su un lato. Intanto c’era tutta una folla che faceva ala ai lati, composta da quelli che sostenevano la trebbia, dai contadini che erano accorsi a vederla, dai proprietari dei covoni, dalle donne, dai bambini. Insomma era come se ci si preparasse a una festa. La mattina dopo non s’era ancora fatto chiaro, che già si attaccava la bombola del gas al Landini, il quale dopo un poco lanciava dei colpi così laceranti nell’aria calma, con relativa nuvola nera di scarico, che, insieme ai cani che abbaiavano imbestialiti, si sentivano tutti gli animali delle masserie. Intanto la trebbia aveva preso il suo ritmo e era tutto un girare di cinghie e pulegge, di nastri e cilindri, mentre il rullo sollevatore ingoiava i fasci di grano che venivano buttati coi forconi. Si cominciavano a riempire i primi sacchi di grano e ogni proprietario, che vi aveva tenuto il covone, portava i sacchi nel suo posto, sull’aia all’aperto. Questi sacchi venivano ammassati a mucchi e si aspettava che doveva venire il commerciante col camion a comprarli. Ma intanto passava qualche giorno, e la notte si lasciava a dormire un ragazzo, per maggior sicurezza che non venissero rubati i sacchi. Noi ragazzi si dormiva in mezzo ai sacchi, ma se qualcuno avesse voluto rubare, era sicuro che si sarebbe preso il grano insieme a noi; c’avrebbero potuto trasportare in capo al mondo, nessuno si sarebbe accorto di niente. Durante i giorni della trebbiatura c’era un via vai di gente che sembrava una festa. Le donne preparavano le orecchiette sui tavoli all’aperto. Gli uomini scaricavano i fasci di grano dai covoni. C’era quello che teneva appesi i bambini alla mazza sulle proprie spalle e gli faceva fare la giostra. Quell’altro che cantava, anche se in mezzo al rumore della trebbia e del “motore”.Quello con gli occhiali da motociclista e fazzoletto sul naso, sotto il tubo di scarico della paglia, alzava la “meta”, cioè il covone di paglia. Più in là i maiali, sotto i gelsi neri, ne mangiavano i frutti e, erano così imbrattati del colore rosso che fuoriusciva dei gelsi, che erano sporchi come maiali. Oggi, a raccontarli, questi fatti, sembra che sono passati dei secoli, talmente le condizioni di vita e di lavoro sono cambiate, mentre invece tutto avveniva appena cinquant’anni fa.
(fine)
Mario De Capraris