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Santagatesi illustri
25/07/2018
LAZZARO FREDELLA : UN EROE DA NON DIMENTICARE
di Alfonso De Capraris

LAZZARO FREDELLA: Un eroe da non dimenticare.

 

È con religioso profondo rispetto non disgiunto da forte emozione che mi accingo a ricordare un emerito figlio di Sant’Agata di Puglia, chiedendo a me stesso se ne sarò all’altezza e soprattutto degno.

Per comprendere bene di chi io stia parlando, ritengo necessario tracciare prima di tutto un breve profilo della vita e delle opere di Lazzaro Fredella, Lazzarino come affettuosamente veniva chiamato da familiari, parenti ed amici, o anche Rino, diminutivo che Egli usava quando amorevolmente si rivolgeva alla sua adorata madre Saveria Carrillo.

Egli nasce a Sant’Agata di Puglia l’8 novembre 1906, un bimbo bello, biondo e con gli occhi celesti, preceduto da quattro sorelline nate in precedenza, per la gioia di sua madre che tanto desiderava di avere un maschietto, dimostratosi, crescendo, in possesso di indole buona e sincera, oltre che di animo sensibile e delicato.

Alunno prediletto del M° Rosati, il quale vedeva in lui un bambino che con la sua intelligenza prometteva bene, conclude il ciclo delle elementari nel paese natio, dove improvvisamente un grave lutto si abbatte sulla sua famiglia: viene meno il padre Lorenzo, ancora giovane, proprio nel momento in cui un bambino ha maggiormente bisogno del sostegno paterno del proprio genitore, ma, per non disperdere le potenziali doti intellettive del suo figliolo, la madre decide di fargli proseguire gli studi, che si concretizzano con il conseguimento della licenza tecnica a Foggia, prima, e poi del diploma, con ottimi voti, di perito tessile a Napoli, presso l’Istituto “Vittoria Colonna”.

Si pensava, infatti, che con quel titolo Lazzarino sarebbe potuto espatriare in America, dove avrebbe potuto avviare un’attività industriale, progetto rimasto allo stato embrionale per il sopravvenuto blocco delle emigrazioni negli Stati Uniti, per cui Lazzaro dovette darsi un gran da fare per trovare una occupazione decorosa sempre nel campo del tessile in Lombardia, ma dopo due anni di infruttuose ed amare ricerche fece ritorno in famiglia, deluso ma deciso a non demordere dal proposito di trovare una giusta sistemazione, facendo affidamento sulla giovane età e la buona salute.

Evidentemente, però, il buon Dio lo aveva destinato a ben altri compiti, che Egli avvertiva nel suo animo fin da ragazzo sui banchi di scuola a livello di semplice desiderio, divenuto presto un’idea, che, dopo gli inutili tentativi di trovare spazio nella società civile, assunse la forma di una decisione da prendere: vita militare o vita civile. Non ci furono tentennamenti, scelse con grande entusiasmo quella che Egli sentiva più consona al suo carattere e più rispondente ai suoi desideri, la carriera militare, che gli avrebbe offerto la possibilità di diventare Ufficiale del Regio Esercito Italiano, come lo era già stato il suo genitore; aveva, infatti, della vita dell’Ufficiale un concetto elevatissimo, in quanto la riteneva una missione quasi sacra da compiere con rigore e serietà, così come era certo che non ci sarebbero stati sacrifici o avversità tali da impedirgli il raggiungimento del proprio ideale e la realizzazione dei progetti che si era preposto con mente lucida e volontà irremovibile.

Decide, pertanto, di arruolarsi come volontario per servire con le proprie giovani energie la Patria, divenendo presto Sottufficiale e quindi Sottotenente di complemento, gradi che, comunque, non rispondevano appieno alle sue aspettative, che erano quelle di essere ammesso all’Accademia militare di Modena, per diventare Ufficiale in servizio permanente effettivo; ne partecipa al concorso che prevedeva appena 30 posti, a fronte della partecipazione di ben 360 concorrenti, e dove, in virtù delle sue doti intellettive e degli studi effettuati con costanza e serietà, si classifica al settimo posto, con immensa gioia e soddisfazione sua personale, di sua madre e delle sorelle Dina e Rachelina, alle quali era legatissimo.

Dopo i tre anni accademici, frequentati in maniera esemplare per disciplina e studio, andò a Parma presso la locale Scuola di applicazione, e quindi fu assegnato al Reggimento di Fiume, dove col grado di Tenente, giudicato dai superiori “ottimo Ufficiale”, ottenne il comando di una compagnia.

Tuttavia la sua mente era proiettata oltre mare, il suo sguardo si volgeva all’Africa Orientale, dove spiravano venti di guerra, e, fortemente convinto che “Militia est vita hominis super terram”, animato, peraltro, da grande spirito patriottico, chiese ed ottenne di essere inviato in Eritrea, fremendo all’idea di andare a combattere per onorare il Tricolore, lottare per la propria Patria al fine di renderla più grande ed aumentarne il prestigio a livello internazionale.

Estremamente interessante, oltre che commovente, è un ricco epistolario che si instaura fra lui e l’adorata mamma, alla quale cerca in tutti i modi di non farle pesare la sua lontananza e permanenza in zona di guerra, minimizzando i rischi ed i pericoli ad essa connessi, come quando, ad esempio, le nasconde amorevolmente di trovarsi ricoverato, a seguito di ferita, nell’ospedale “Principe di Piemonte” di Asmara, pur non potendo evitare di esternarle la gioia e l’intima soddisfazione personale provate nel ricevere il battesimo del fuoco, quando prese parte per la prima volta ad un combattimento, durato un’intera giornata e conclusosi con la vittoria del proprio Battaglione, grazie anche al suo apporto personale.

Purtroppo la buona sorte gli gira presto le spalle, dopo appena sette mesi dal suo arrivo in A.O., il 20 gennaio 1936 si trova sul Tembien nel bel mezzo di una cruenta battaglia, che Egli affronta con vigoria e cuore saldo, arrivando addirittura ad imbracciare una mitragliatrice con cui riesce a bloccare l’urto del nemico, ma nell’atto di deporre l’arma viene colpito mortalmente, spirando subito dopo, giusto in tempo per gridare “Viva l’Italia!...Avanti!...” e pronunciare le ultime parole “Mamma mia!...Mamma mia!”.

Si spegneva così eroicamente ad appena ventotto anni una giovane esistenza, veniva reciso un fiore nel pieno del suo giovanile splendore, e penso che non ci sia alcuno che di fronte ad una simile tragedia non possa non provare un senso di sgomento ed una grande commozione, compensati dalla certezza secondo cui gli eroi non muoiono mai, il vuoto creatosi con la loro scomparsa viene colmato dal ricordo delle loro gesta eroiche, dalla testimonianza di una vita vissuta nell’osservanza di quei valori che stanno alla base di qualsiasi comportamento degno di rispetto e di ammirazione: Dio, Patria, famiglia, che sono stati i cardini su cui ha costruito la propria esistenza il Ten. Lazzaro Fredella.

Moltissime furono le espressioni di vivo e sentito cordoglio pervenute alla famiglia da tutte le parti d’Italia, a firma di alte personalità civili e militari, tutte concordi nel riconoscere in Lazzaro Fredella un glorioso combattente che con il suo sacrificio aveva saputo lasciare un ricordo perenne di sé.

I funerali in memoria dell’Eroico Caduto, svoltisi in forma solenne nella chiesa matrice di Sant’Agata di Puglia il 20 marzo 1936, furono onorati dalla partecipazione di moltissime autorità civili, militari e religiose, fra le quali mi piace ricordare anche mio padre, il Cav. Uff. Gennaro De Capraris, in qualità di vice Podestà della città di Foggia.

Al termine della funzione religiosa, a cui assistette tutta la comunità santagatese per stringersi in un caloroso fraterno abbraccio con un proprio figlio che con il suo valore tanto lustro aveva dato al suo paese, il Prefetto di Foggia consegnò alla madre Saveria una fotografia del Capo del Governo con la seguente dedica autografata e firmata dal Duce Benito Mussolini: “Alla Signora Saveria Carrillo, in ricordo del figlio Lazzaro, eroicamente caduto in A. O., Mussolini”, Roma, 9 marzo 1936.

Non fu questo, comunque, l’unico alto riconoscimento tributato al nostro Eroe, perché lo Stato italiano non mancò di conferirgli la medaglia d’argento al valor militare alla memoria con la seguente motivazione:

“Alla testa del suo plotone, con ammirevole slancio ed ardimento stroncava ripetuti attacchi nemici, finchè cadeva mortalmente ferito. Agli uomini occorsi per soccorrerlo, rivolgeva il suo ultimo incitamento: Avanti, Viva l’Italia”.

Mechennò, 20 gennaio 1936 - XIV E. F.-

Alfonso De Capraris
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