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Artemisium News
09/07/2017
IL MONTE DELLA CROCE A SANT'AGATA DI PUGLIA
di Dora Donofrio Del Vecchio
La Croce in restauro dopo l'incendio

Il Monte (lu monde)

Era ed è così chiamata ancora la collina (mt 716 sl.) che fronteggia S. Agata di Puglia, anche se l’oronimo si è modificato in Monte della Croce dall’8 giugno 1901. Questa data segna un avvenimento importante: la chiesa santagatese rispose all’appello di papa Leone XIII, che riproponeva l’antico culto della Croce, e faceva installare 19 Croci su altrettanti monti scelti in tutta l’Italia in ricordo dei 19 secoli della nascita di Cristo e, quindi, della redenzione per l’umanità. Sul nostro Monte fu installata una monumentale Croce in pietra di Molfetta alta circa 8 metri, che una tempesta di vento abbatté. Fu subito sostituita da una in ferro, fatta fare in Napoli, e benedetta da mons. Giuseppe Padula il 15 giugno 1902.

Tanto a conferma della forte e radicata devozione dei santagatesi per la Croce ed il Crocifisso, devozione tramandata di generazione in generazione e già esplicata in particolare con una chiesa medievale intitolata alla S. Croce (abbattuta secoli addietro), la “Croce Santa” che si trova nel tempietto del Calvario, il culto verso il Crocifisso in S. Andrea.

Ogni anno, il 3 maggio, festa dell’Invenzione della Santa Croce, ed il 14 settembre, festa della esaltazione della Santa Croce,devoti si recavanoa pregare ai piedi di quel sacro simbolo. Ancora oggi  si conserva la pia  pratica. In particolare il 14 settembre, si va processionalmente, vi si celebra la santa messa e si distribuiscono crocifissi ai devoti a cura del Comitato “Amor Crucis” costituito nella Parrocchia di S. Nicola.

E dal 14 settembre 1991 la monumentale Croce è costantemente illuminata, ed una lapide lo attesta con questa iscrizione: “Alla Croce di Cristo/Simbolo di fede/Faro di civiltà/Dedichiamo /Questa illuminazione /Permanente/Il Comitato “Amor Crucis”/Fedeli, Autorità civili e religiose/14 Settembre 1991”.

Nella parte retrostante quella che guarda il paese, in dialetto “addrete a lu Monde”,  una cava ha fornito per secoli materiale arenoso per l’edilizia ed una fontana, detta di “Tumm-Tumm” (era degli Incarnato, cui il Comune con regolare contratto dava un compenso annuo di lire 1800), ha dissetato la popolazione.

Nell’Ottocento buona parte dell’area dietro al Monte fu quotizzata e assegnata ai contadini che la misero a coltura.

Per secoli l’Amministrazione comunale su quel Monte ha consentito, dietro pagamento, il pascolo per migliaia di capi di bestiame a chi ne faceva richiesta.

Una strada panoramica, dismessa da alcuni decenni, lo attraversava.

A partire dalla metà del secolo scorso un ambizioso progetto di rimboschimento, con aiuti governativi,  doveva trasformare questo monte in un polmone di verde che arricchiva l’ambiente, il paesaggio, ricreava la vista e contribuiva a fare di S. Agata uno dei borghi più belli non solo del Subappennino Dauno.

Quel rimboschimento diede pane e lavoro a diecine e diecine di disoccupati, frenando la piaga dell’emigrazione.

La ricchezza della flora,  della fauna, dei profumi del sottobosco  fecero presto di quel  bosco un luogo di grande valore biologico  e di straordinario interesse naturalistico.

Così la sacralità del luogo si arricchiva con la sacralità del bosco, che cresceva vigoroso, fitto e lussureggiante.

Meta di salutari passeggiate, attrazione di residenti e turisti, ha accolto scolaresche che un tempo festeggiavano la festa degli alberi il 21 marzo o i primi di novembre con la piantumazione di giovani piante arboree.

S. Agata nei secoli addietro vantava un patrimonio boschivo immenso (Uomo Morto, S. Pietro e S. Maria d’Olivola, Cesine, Coste Lavanghe, Ultrino, Borgineto, Cannacarbone, Casaleandra, Valle della Cerreta, Bosco Zuccherino, Vacantali, ecc.) in massima parte distrutto per la quotizzazione ed anche per l’avidità di coltivatori che ne usurparono parti confinanti con le proprie terre, con gravi conseguenze per la salubrità dell’aria e causa di valanghe e frane.

Sembrava finalmente che tanta ricchezza di alberi del rimboschimento, di cui i santagatesi erano e sono orgogliosi, sanasse antiche ferite all’ambiente.

Ma  in un giorno il fuoco ha fatto degli alberi del Monte della Croce un rogo, lasciando al loro posto solo desolazione.

Per gli antichi il bosco era sacro, l’albero rappresentava il rapporto diretto della Terra con il Cielo ed era il simbolo della vita.

Esso è una delle più belle creature del Creato, che tutto dona e nulla chiede all’uomo se non rispetto.

Riflettiamo tutti su questo bene nella speranza che il disastro ambientale, che tanto ci ha colpito,ci insegni ad amare e salvaguardare la natura, a rispettarla e proteggerla.

Dora Donofrio Del Vecchio

 


Altre Foto:
La Croce il giorno della inaugurazione
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