La festa del Corpus Domini era l’espressione pubblica più significativa per esternare il culto del SS.mo Sacramento, e la processione costituiva per le confraternite il momento più importante della loro attività e per tutti l’occasione più solenne per onorare e magnificare il Signore.
Nella processione del Corpus Domini si rispettava una ritualità che metteva in risalto, con l’importanza della festa, il ruolo che in essa rivestivano nobili e autorità laiche del luogo.
A Lucera ab antiquo la confraternita del Santissimo detta anche dei Bianchi, organizzava la processione, alla quale intervenivano il real Capitolo, clero regolare e secolare, tutte le confraternite, eccetto quella del Crocifisso e Morte. Antico solito i due governatori nobili della confraternita del Crocifisso invitavano i Regi Ministri del Tribunale dell’Udienza: il Preside sosteneva le prime delle otto mazze del pallio, le seconde mazze erano rette dai magnifici Eletti dal ceto dei nobili governatori della città. L’ultima asta veniva portata dai governatori della confraternita del SS.mo Sacramento con l’insegna in spalla. Era diritto dei nobili portare le mazze e si alternavano nel giro processionale in luoghi detti “mute”, che coincidevano con le parrocchie di S. Giovanni, S. Caterina, altare amovibile avanti al Palazzo Pagano, chiesa dei Padri Celestini.
A Faeto, come a Castelluccio e Celle S. Vito, nella processione del SS.mo Sacramento il barone aveva il diritto di reggere la prima asta del pallio a lato destro del baldacchino. In sua assenza toccava al camerlengo, suo rappresentante.
In tutti i paesi della Capitanata la festa era molto sentita, perché “Cristo andava per la terra”, come dicevano i contadini. I lavori erano sospesi, le campagne deserte.
Per la processione, durante le quali si mostrava ai fedeli l’Ostia consacrata, ovvero il Corpo di Cristo, si faceva uso di ostensori preziosissimi, portati sotto baldacchini a quattro, a sei o ad otto aste, preceduti da chierici recanti flabelli o composizioni detti “palii” costruiti con fiori e frutta. Le aste erano rette a turno da rappresentanti di nobili ed autorità. Alla processione partecipavano tutto il clero secolare, gli ordini religiosi e le altre confraternite, sulle quali vantavano precedenza le confraternite del Santissimo, per reale Rescritto del 23 agosto 1843 ed 11 ottobre 1845, con cui veniva veniva concesso alle confraternite del SS.mo Sacramento della provincia di Foggia la precedenze per la “festività del Corpus Domini e sua Ottava nelle processioni del SS.mo Sacramento”.
Con gran concorso di popolo, di fanciulli e fanciulle bianco vestite, sotto una pioggia di petali di rose e ginestre, essa si snodava per le strade processionali dei paesi, riccamente addobbate da preziose tovaglie e coperte di seta che pendevano da finestre e balconi. Sostava ove erano apparecchiati suggestivi e spettacolari “altarini”. Il parroco intonava il Tantum Ergo, impartiva la benedizione, mentre echeggiavano spari di bengala, tra intensi profumi di incenso e di fiori. Suonavano a distesa le campane di tutte le chiese e la banda musicale eseguiva musiche eucaristiche.
A Sant’Agata di Puglia, quando la processione arrivava in piazza sostava più a lungo, finché non si esauriva lo sparo dei fuochi pirotecnici e non si impartiva la benedizione ai campi.
A Monteleone di Puglia la festa si svolgeva sotto il patronato dei feudatari e dalla seconda metà dell’800 per iniziativa di un devoto. I giovani adornavano gli usci ed i muri esterni delle case con “verdi rami chiomati”, sporgenti e piegati ad arco sotto cui passava la processione del SS.mo Sacramento. Sembra che l’uso delle frasche sia stato portato durante la signoria di Ludovico Platti (1668), venuto da Milano, ove un “capitano” organizzava nel castello la festa del Corpus Domini, per la quale tutto il Ducato doveva fornire fresche frasche per adornare il maniero. E si chiamava, perciò, “capitano della Frasca” anziché del Corpus Domini.
A Foggia, il Priore, che veniva eletto dal Capitolo, organizzava la festa del Corpus Domini. Il Governatore della Dogana doveva trovarsi in chiesa all’inizio della Messa, che veniva celebrata dal vescovo, e gli veniva offerto il cuscino di velluto. Il Priore doveva reggere lo strascico della sottana al vescovo dall’altare fino alla porta della chiesa dalla quale poi la reggeva il Mastro Giurato, mentre il Priore prendeva la prima asta del baldacchino. Le altre aste erano rette in questo modo: la prima dal Governatore della Regia Dogana, la seconda dal Regio Governatore, le altre dal Mastro giurato ed Eletti, ed in mancanza del Mastro Giurato dal Priore. Due chierici vestiti di cotta reggevano due flabelli “sui ventagli grandi con mazze lunghe di penne di pavone che fanno ala sopra il Signore, quali flabelli si usano ancora absente Episcopo”, nel qual caso la funzione viene celebrata dall’arciprete. Lo stesso Priore a spese della cappella del Santissimo allestiva il santo Sepolcro il Giovedì Santo per cui “per honore se li dà la chiave d’argento, che con fettuccia bianca porta appesa al petto”.
Come già sottolineato, per la processione si usavano ostensori di gran pregio, spesso dotati di un basamento che includeva il tabernacolo, e divenivano macchine da festa per l’esposizione del Santissimo, per la preghiera e la veglia delle Quarantore, per il Santo Sepolcro del Giovedì Santo.
La Puglia Dauna vanta un ricco patrimonio di ostensori, “sfere”, tabernacoli, porticine di tabernacoli, tronetti per l’esposizione eucaristica, per lo più di arte napoletana. Citiamo i cinque ostensori raggiati presenti nel Tesoro della cattedrale di Troia, di cui uno legato alla memoria del vescovo Emilio Giacomo Cavalieri. Preziosissimo è l’ostensorio d’argento e rame custodito nel Museo diocesano di Bovino, opera dell’ascolano Pietro Vannini, 1452. Altri ostensori degni di citazione sono quelli raggiati nella chiesa di S. Donato di Carlantino, e nella chiesa della Natività di Alberona, nella chiesa di Santa Maria Assunta di Biccari, nella chiesa di S. Giovanni Battista di Motta Montecorvino, in quella di S. Nicola di Bari di Orsara. Altrettanto preziosi gli ostensori con puttini e figure che si custodiscono nelle chiese di Castelluccio Valmaggiore (chiesa di S. Giovanni Battista), di Lucera (chiesa del Carmine), di Casalnuovo Monterotaro (chiesa di S. Pietro e S. Nicola di Bari), Pietramontecorvino (chiesa badiale), Castenuovo della Daunia (chiese di S. Maria della Murgia e della Maddalena), Carlantino (chiesa di S. Donato): quasi tutti del secolo XVIII o dei primi decenni del XIX, e di fattura napoletana. Quello di Pietra Montecorvino (Chiesa della Madonna del Rosario), datato 1781, è alto 106 cm. e pesa Kg. 7,300. Di grande valore è quello della chiesa badiale di S. Bartolomeo in Galdo, donato dall’abate commendatario Gurtler, profuso di argento e oro.
Di tessuti preziosi erano i gonfaloni ed i “pallii”: la confraternita di Sant’Agata ne possedeva uno a sei mazze di color “chermisi” ricamato in oro. In genere arredo e corredo delle cappelle del Santissimo erano ornati da simboli dell’Eucarestia, come l’uva, l’ostia raggiata, le spighe. Un ostensorio è rappresentato nel rosone tompagnato della chiesa della Natività di Maria Vergine di Alberona e nella facciata della chiesa parrocchiale di s. Angelo in Sant’Agata di Puglia, opera dell’architetto Gino Marchitelli.
Dora Donofrio Del Vecchio
(Confraternita S. Antonio e SS.ma Annunziata in Sant’Agata di Puglia)
(D. Donofrio Del Vecchio,Il culto e le confraternite del SS.mo Sacramento nelle diocesi daune in “Carte di Puglia”, Rivista di Letteratura Storia e Arte, edizioni del Rosone, a. VIII, n. 1, Giugno 2006, pp. 5-26).